La bulimia nervosa costituisce, assieme all’anoressia nervosa, il più diffuso disturbo alimentare.
Essa si caratterizza per ricorrenti episodi impulsivi di “abbuffate” di cibo seguiti da intensi sensi di colpa e vergogna che portano a modalità inappropriate (“le condotte compensatorie”) per espellere
il cibo ingerito: vomito, uso di diuretici e lassativi, intensa attività sportiva.
Le condotte
compensatorie si trovano anche nell’anoressia, ma non sono giudicate fondanti per la diagnosi.
È bene sottolineare che la bulimia nervosa è situata in stretta relazione con l’anoressia nervosa, a tal
punto che vengono spesso considerate come due poli opposti di un continuum, le due facce della
stessa medaglia. In entrambe infatti sono presenti un’alterata percezione del peso e delle forme
del corpo ed un’intensa paura di ingrassare ed almeno il 40-50% di chi presenta uno dei due
disturbi alimentari presenta anche l’altro. Per quanto concerne la comprensione psicodinamica del disturbo, essa, come sempre, deve essere individualizzata.
La bulimia si può presentare in pazienti
con strutture di personalità molto diverse e queste sono centrali per la comprensione del
funzionamento mentale della persona. Si deve poter comprendere il senso e la funzione del
disturbo alla luce della storia di vita di quella specifica persona, collegandola con il qui ed ora delle
condizioni di insorgenza del disturbo.
Lavorando con pazienti bulimici ho riscontrato che, tra le
ipotesi avanzate per spiegare la causa psicologica di tale disturbo, quella più convincente, almeno
per la mia esperienza professionale e per il mio modello di lavoro, si focalizza sulla caratteristica di
ossessività del pensiero: tale meccanismo, cioè l’ossessività del pensiero per la tematica del cibo e
del corpo, agirebbe da meccanismo di difesa, spostando l’attenzione della persona sul cibo o il
corpo proteggendola così dal sentire emozioni più dolorose (rabbia, tristezza, senso di vuoto o di
inutilità, disgusto di sé, vergogna, etc.) e dall’occupare la mente con pensieri più pericolosi,
aggressivi (verso di sé o gli altri) e depressivi (dolorosi ricordi di abbandoni, maltrattamenti,
umiliazioni, etc.).
In questo vi è un’evidente analogia con ciò che accade nelle dipendenze
patologiche, qualunque sia l’oggetto della dipendenza: il gioco d’azzardo, lo shopping, internet, il
telefonino, una sostanza psicotropa, etc. Nelle storie di vita dei pazienti bulimici sono stati spesso
riscontrati problemi nel dialogo emotivo con i genitori, una storia di maltrattamenti fisici e
psicologici, incuria, abbandoni e lutti emotivamente non risolti. Inoltre è emerso che molti pazienti
bulimici vivono ed hanno vissuto una mancanza di rispetto per i propri confini ed un’intrusione grossolana nella propria privacy. L’abbuffata può avere inizio allora come tentativo di fuga da
dolorosi ricordi, pensieri ed emozioni che attivano uno stato acuto d’ansia che viene tenuta a bada
spostando ossessivamente il pensiero ed il comportamento sul cibo.
L’abbuffata però diventa con il
tempo un’abitudine, uno schema comportamentale a cui ricorrere per auto-tranquillizzarsi,
sebbene solo momentaneamente: infatti lo stomaco dilatato e “riempito” produce psichicamente un
senso di calma e rilassatezza che rinforza lo schema comportamentale (abbassando il livello di
tensione) e così il suo possibile ripetersi nel tempo.
L’anoressia nervosa è in Italia in continuo aumento e l’età di insorgenza è sempre più anticipata
alla preadolescenza. I sintomi dell’anoressia sono una ricerca ossessiva della magrezza,
un’intensa paura di ingrassare pur essendo sottopeso, un disturbo nella percezione del proprio
peso o della propria forma e, nelle donne, dopo il menarca, l’assenza di almeno tre cicli mestruali
consecutivi. Sebbene solo il 5-10% (dato in costante aumento) degli anoressici siano uomini, la
comprensione psicodinamica del disturbo è simile in entrambi i sessi.
Gli individui affetti da questo disturbo tendono ad essere di cultura occidentale, che è la cultura dell’opulenza e del valore
estetico della magrezza: l’anoressia nervosa infatti è praticamente sconosciuta nelle nazioni nelle
quali la magrezza non viene considerata una virtù (Powers, 1984).
Anche se sarebbe un grave
errore come vedremo non porre come centrali nell’etiologia e nella patogenesi di questi disturbi i
fattori intrapsichici e relazionali, non vi è dubbio che tali fattori interagiscono chiaramente con un
particolare periodo socioculturale della civiltà occidentale che produce una sindrome che ne riflette
i valori dominanti. D’altra parte è sempre così quando si parla di disturbi psicologici, nel senso che
essi sono “contesto culturale dipendenti”.
Solo per fare due esempi: l’Isteria della società vittoriana,
della fine dell’800 primi del ‘900 non è più presente; così come in Occidente non sono presenti
disturbi psicologici invece diffusi in Oriente come l’Hikikomori (una particolare forma di ritiro
sociale) o la Sindrome di Koro (un’irrazionale fobia che i genitali (o il seno o i capezzoli per le
donne) siano più piccoli di come in realtà sono e che stiano riducendosi, rientrando nel corpo).
Circa le cause psicologiche di insorgenza dell’anoressia bisogna integrare quanto ho già detto più
sopra sulla bulimia - cioè la centralità dell’ossessività del pensiero sul cibo e sul corpo come
meccanismo di difesa, spostamento e protezione da ricordi, pensieri e sentimenti dolorosi che
nulla hanno a che fare con il cibo - con altre interessanti posizioni, come quelle della Bruch (1987)
secondo la quale il disturbo sarebbe “un tentativo di cura di sé, per sviluppare attraverso la
disciplina del corpo un senso di individualità”. Tale disturbo si avrebbe spesso, infatti, in “brave
bambine” ipercoinvolte nelle problematiche della coppia genitoriale, che hanno passato l’infanzia a
compiacere i genitori cercando di essere “perfette” per loro.
Così il controllo ossessivo del proprio
corpo darebbe a tali adolescenti un senso di onnipotente quanto illusoria indipendenza,
permettendo al contempo l’espressione dell’aggressività inconscia per i genitori attraverso una
presa di potere sugli stessi, ora tutti assorbiti dalla preoccupazione per l’anoressia della figlia e
“succubi” dei suoi rituali ossessivi. Inoltre questi ultimi sarebbero anche “distolti” dalle malcelate
conflittualità coiugali, di cui la paziente anoressica si rende conto e che teme più di tutto: così,
attraverso il disturbo, “la tensione” dei genitori è sulla figlia e non tra di loro e ciò mantiene e
rinforza la permanenza del disturbo stesso come mezzo protettivo per l’equilibrio familiare ed una
diretta espressione della crisi nella coppia genitoriale. Compito della psicoterapia è di rompere questo circuito
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